IL COLLUTORIO…

Il collutorio è un prodotto in soluzione utilizzato come supporto ai normali metodi di igiene orale (spazzolino, dentifricio e filo interdentale). Nonostante i messaggi pubblicitari ne sottolineino insistentemente l’utilità nella prevenzione della placca, e nel trattamento di particolari condizioni del cavo orale, come gengivitiafte ed alito cattivo, il collutorio rimane quindi uno strumento puramente ausiliario. L’utilizzo del solo collutorio non è infatti sufficiente per ottenere un’adeguata igiene orale, né tanto meno per rendere più bianchi i propri denti. Anzi, se prendiamo l’esempio dei collutori a base di clorexidina – consigliati in presenza di gengiviti croniche, patologie cariose molto aggressive o problemi importanti del parodonto – scopriamo che questi si associano molto spesso alla presenza di macchie marroni ai denti ed alla lingua. Trattasi comunque di macchie superficiali, facilmente eliminabili durante l’igiene ambulatoriale. Analogo discorso per i collutori a base di fluoruro amminico e fluoruro stannoso.

Ingredienti comuni ai vari collutori sono ovviamente l’acqua ed i dolcificanti acariogeni, come xilitolo (che esplica anche una lieve attività antibatterica), sorbitolosucralosio e saccarina sodica. Talvolta, soprattutto nei collutori commerciali, ritroviamo anche una significativa quantità di alcool, usato soprattutto per esaltare il sapore del prodotto più che per le reali proprietà antibatteriche, particolarmente contenute alle concentrazioni usate. L’alcool può invece avere un effetto irritante sulla mucosa orale e secondo alcuni studi aumenterebbe il rischio di tumore alla bocca e al cavo orale. In linea generale, i collutori si possono distinguere in due categorie: collutori medicati (venduti solo in farmacia) e collutori cosmetici (venduti liberamente). I primi contengono sostanze chimiche a potente azione antibaterrica (principalmente clorexidina), mentre nei secondi è preponderante la presenza di fluoro, che per la sua capacità di favorire la riparazione delle microlesioni dello smalto, è considerato un efficace agente contro la carie.

COLLUTORI CON CLOREXIDINA (0,12%-0,2%)

Questi collutori sono prescritti per il controllo chimico della patina batterica; la clorexidina, infatti, rappresenta un agente antisettico molto efficace, perché in grado di distruggere tutti i batteri presenti nel cavo orale con un effetto prolungato. Non a caso, è considerata l’agente chimico disinfettante – antiplacca per eccellenza. La potenza antibatterica della clorexidina, tuttavia, si accompagna ad effetti collaterali importanti, che impongono un utilizzo ponderato del collutorio: non più di due volte al giorno per periodi di due tre settimane, e solo su prescrizione del dentista.
Un uso inappropriato crea resistenza batterica ed infiammazione delle mucose; come ricordato, tende a macchiare i denti e, se usato per lunghi periodi in sostituzione dello spazzolino e del filo interdentale, risulta inefficace o addirittura dannoso, soprattutto perché sovverte l’equilibrio ecologico della flora batterica orale.

NOTA BENE: la clorexidina ha come effetto collaterale il fenomeno della pigmentazione del tartaro e della placca batterica adesa alla superficie dei denti.

COLLUTORI CON TRICLOSAN

Al pari della clorexidina, il triclosan è un antisettico chimico particolarmente utile per la sua azione antiplacca, anche in presenza di gengivite. Maggiore sembra tuttavia il rischio di effetti collaterali, tanto che in alcuni Paesi è stato bandito.

COLLUTORI CON OLI ESSENZIALI

Anche gli oli essenziali hanno un ottimo potere battericida, comunque limitato se si considerano le concentrazioni utilizzabili nei comuni collutori. Gli oli essenziali sono spesso aggiunti per l’azione antialitosica, rinfrescante, leggermente anestetica e di richiamo sul consumatore. Un ingrediente universalmente impiegato è l’olio essenziale di menta piperita, insieme al mentolo ed al timolo. Altri oli essenziali di comune riscontro nei collutori sono quelli di salvia, limone, anicecannella, garofano e mirra.

COLLUTORI CON FLUORO E DERIVATI

Più che per le blande proprietà antibatteriche, sono usati soprattutto per rimineralizzare i denti e prevenire carie ed eccessiva sensibilità dentale. Se usati in eccesso, tuttavia, questi colluttori possono causare fluorosi, con un paradosso effetto demineralizzante ed erosivo.

COLLUTORI COMMERCIALI

Indipendentemente dagli ingredienti, di norma non sono consigliabili ai pazienti con problemi orali, poiché possono causare stomatiti da irritazione ed ipersensibilità (soprattutto se a base alcolica). Pertanto, in presenza di un disturbo del cavo orale è molto importante sottoporlo all’attenzione di un dentista per individuarne le cause e scegliere eventualmente il collutorio più adatto alle proprie esigenze.

 

 

 

 

 

SENSIBILITA’ DENTALE

Perché i denti sono sensibili agli stimoli termici?

L’ipersensibilità al freddo e al caldo è un sintomo molto comune, spesso sottovalutato dal paziente. È dovuto all’esposizione della dentina, che è la struttura portante del dente, racchiude la polpa ed è fisiologicamente sensibile, perché attraversata da tubuli che contengono fibre nervose. La dentina normalmente è coperta dallo smalto e dalla gengiva, per cui no è a contatto con l’ambiente orale.

A causa di fattori traumatici abrasivi (spazzolamento errato), erosivi (sostanze acide a contatto con i denti) o patologici (malattia parodontale) la dentina si trova a non essere più ricoperta dallo smalto, oppure dalla gengiva a livello radicolare, e risponde con il dolore a stimoli di varia natura (termici, chimici, tattili od osmotici).

L’ipersensibilità dentinale si manifesta come una sintomatologia dolorosa localizzabile non molto precisamente su uno o più elementi dentari, in assenza di carie. Può essere avvertita non solo per l’effetto di stimoli termici (comunemente bevande o cibi freddi) ma anche per il contatto con sostanze agrodolci, per sollecitazioni tattili o infine, nei casi più eclatanti, per la sola aria inspirata dalla bocca.

Come insorge l’ipersensibilità dentinale? Esistono fattori di rischio o cause predispondenti?

L’ipersensibilità dentinale è dovuta all’esposizione dei tubuli dentinali all’interno dei quali sono presenti, come già visto, le fibre nervose responsabili delle sensazioni dolorose.

I fattori che predispongono all’ipersensibilità dentinale sono molteplici e riconoscono cause differenti come abrasioni, erosioni, traumi dei tessuti dentari, azioni iatrogene.

  • Abrasioni: sono dovute a uno spazzolamento non corretto (3), adoperando eccessiva forza o una tecnica incongrua, unitamente all’uso di dentifrici abrasivi e spazzolini di cattiva qualità. Queste abitudini scorrette provocano una progressiva abrasione dello smalto, in particolare a livello del colletto dei denti (la porzione a ridosso della gengiva) dove la retrazione del tessuto gengivale espone il tessuto dentinale sottostante.
  • Erosioni: sono dovute ad un eccessivo consumo di bevande o alimenti acidi (succhi di frutta, spremute di agrumi, yogurt, bibite gasate, ecc.) che agiscono sullo smalto erodendolo ed esponendo la dentina sottostante.
    Gli stessi acidi, inoltre, così come l’accumulo di placca, tendono ad esporre velocemente i tubuli dentinali aumentando le aree di comunicazione tra il cavo orale e le fibre nervose responsabili degli stimoli dolorosi. Il medesimo meccanismo di azione descritto per gli alimenti e le bevande acide si verifica anche nei soggetti affetti da disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia) a causa del pH fortemente acido del vomito e nei pazienti affetti da reflusso gastro-esofageo per l’azione continua del contenuto gastrico acido sui tessuti dentari.(4)
  • Parafunzioni (abfraction): le parafunzioni come il bruxismo, a causa dell’usura progressiva dovuta al digrignamento tra le superfici dentarie, portano ad una esposizione del tessuto dentinale e quindi alla possibilità di una ipersensibilità dentinale.
  • Iatrogene: l’ipersensibilità dentinale iatrogena compare come effetto collaterale indesiderato di alcuni trattamenti odontoiatrici quali sbiancamenti professionali, terapie parodontali come lelevigature radicolari o la chirurgia resettiva, oppure procedure di protesi quali la preparazione di monconi per corone.

L’ipersensibilità dentinale è più frequente in alcune fasce di età?

L’ipersensibilità può interessare qualsiasi paziente a qualsiasi età ma c’è una maggiore prevalenza nella popolazione tra i 20 e i 40 anni di età, in particolare di sesso femminile nonché nei soggetti affetti da malattia parodontale.

Statisticamente:

Il 81% dei soggetti affetti da ipersensibilità avverte una fitta o un dolore quando mangia cibo freddo o assume bevande fredde.
Il 25% dei soggetti avverte una fitta o un dolore quando mangia cibo caldo o assume bevande calde.
Il 41% dei soggetti avverte una fitta o un dolore quando inspira aria fredda.
Il 21% dei soggetti avverte una fitta o un dolore quando mangia alimenti dolci.

Alcuni soggetti presentano sensibilità dentale anche quando spazzolano i denti, in particolare se il risciacquo avviene con acqua fredda.(1-2)

Cosa bisogna fare qualora si soffra di ipersensibilità dentinale?

Qualora si ravvisi un aumento di sensibilità dovuto al consumo di cibi e bevande fredde (o agrodolci) bisogna rivolgersi al proprio dentista il quale dopo un’accurata raccolta di dati (anamnesi) e una visita clinica volta ad escludere altre patologie potrà fare diagnosi di ipersensibilità dentinale e individuarne le cause.

Quali sono le terapie? Esistono accorgimenti che il paziente può adottare per prevenire o limitare l’ipersensibilità dentinale?

Le terapie si differenziano in base alla diffusione e alla gravità dell’ipersensibilità.

Le terapie professionali prevedono l’impiego di principi attivi che contrastino l’insorgenza dell’ipersensibilità attraverso il sigillo dei tubuli dentinali:

  • fluoruro di sodio e fluoruro stannoso in soluzioni o gel da applicare sull’area interessata.
  • Nitrato di potassio in gel,
  • Fosfato di calcio e idrossido di calcio,
  • Resine e adesivi nei casi di ipersensibilità specifica e localizzata,
  • Idrossinanoapatite.

La terapia con laser (Neodimio:Yag) associata ad applicazioni di fluoruro di sodio si è dimostrata efficace come terapia alternativa per l’occlusione dei tubuli.(5)

Le terapie domiciliari prevedono invece l’utilizzo di dentifrici e/o colluttori specifici per denti sensibili a base di nitrato di potassio e fluoruro stannoso attenendosi a queste semplici regole:

  • Praticare una corretta igiene orale, adottando una corretta tecnica di spazzolamento e di utilizzo del filo interdentale, per prevenire infiammazioni parodontali, che possono dare origine alla recessione gengivale
  • Usare un dentifricio specifico per i denti sensibili
  • Evitare di spazzolare con eccessivo vigore o con una tecnica inadeguata
  • Usare uno spazzolino più morbido specifico per soggetti con denti sensibili
  • Usare cautela nel consumo di alimenti acidi che possono comportare l’usura  dello smalto dei denti, quali succhi di frutta, vino, aceto e bibite gasate.
  • Usare prodotti contenenti fluoro, dentifricio e collutorio, per aiutare a ridare integrità allo smalto
  • Evitare di digrignare i denti o serrarli durante il giorno. Chiedere consiglio al proprio dentista sull’eventualità dell’uso di un byte ( un paradenti) per l’uso notturno
  • Andare regolarmente dal dentista/igienista dentale per sottoporsi a una pulizia professionale dei denti

Bisogna evidenziare come la prevenzione sia fondamentale per l’ipersensibilità dentinale e l’osservanza di semplici comportamenti può evitare al paziente l’insorgenza o l’aggravarsi del disturbo:

  • Adottare una tecnica di spazzolamento corretta ed efficace, facendosi consigliare dal proprio dentista o igienista anche per quanto riguarda il tipo di spazzolino e dentifricio da adoperare.
  • Evitare un consumo eccessivo di bevande e cibi acidi
  • Qualora di soffra di reflusso gastro-esofageo è importante effettuare una visita specialistica per adottare terapie che contrastino il disturbo
  • Effettuare controlli periodici dal proprio dentista per individuare fattori predisponenti quali il bruxismo, la malattia parodontale ed attuare le terapie più opportune
  • Si può ridurre il rischio di soffrire sensibilità dentale mantenendo quanto più possibile la bocca sana, con una buona igiene orale per aiutare a prevenire la recessione gengivale o la gengivite:
  • Pulire i denti con un dentifricio e uno spazzolino a bassa abrasività
  • Usare correttamente il filo interdentale
  • Seguire un’alimentazione a base di cibi poco acidi aiuta a prevenire fenomeni di sensibilità

Trascurare un dente sensibile potrebbe causare seri problemi di salute orale, anche perché il dolore induce a spazzolare debolmente i denti, con il rischio di carie e gengiviti.

FLUORO NELLA PREVENZIONE DELLA CARIE: FLUOROPROFILASSI

L’importanza del fluoro nella prevenzione della carie è supportata da un’ampia letteratura scientifica ed è riconosciuta dall’organizzazione mondiale della sanità e dal ministero della salute italiano.

La carie è una malattia infettiva dovuta a batteri che metabolizzano gli zuccheri presenti nel cavo orale, producendo acidi corrosivi nei confronti dello smalto e della sottostante dentina. A causa degli acidi lo smalto viene privato della sua componente minerale, formata essenzialmente da calcio e fosforo ma anche da fluoro. Quest’ultimo si trova naturalmente nella saliva e deriva dagli approvvigionamenti alimentari, che devono coprire un fabbisogno giornaliero di 1,5-4 mg nella popolazione adulta.

Il fluoro aiuta a prevenire la carie rallentando la distruzione dello smalto e accelerando il processo di rimineralizzazione. Più precisamente, la sua funzione preventiva si esplica attraverso i seguenti meccanismi:

Formazione di fluorapatite: si tratta di una variante dell’idrossiapatite che costituisce normalmente lo smalto dei denti, nella quale il fluoro si sostituisce a ioni idrogeno formando un materiale più resistente alla demineralizzazione e all’attacco di acidi e placca batterica. La sintesi di fluorapatite avviene durante la formazione della struttura dentale (amelogenesi), il che sottolinea l’importanza del fluoro nella dieta e nell’igiene orale dei bambini;
Remineralizzazione dello smalto: sui denti già erotti il fluoro ha la capacità di fissarsi nello strato più esterno dello smalto, assieme al calcio e al fosfato dissociati, sempre sottoforma di fluorapatite, compensando la quota erosa dagli acidi della placca;
Azione antibatterica: il fluoro è in grado di contrastare l’adesione dello Streptococcus mutans (principale responsabile della carie) ai tessuti orali.
Una delle fonti principali di fluoro è rappresentata dall’acqua potabile, ma a riguardo esiste un’ampia variabilità tra le diverse fonti. Con l’eccezione di alcune acque vulcaniche, come quelle presenti in alcune zone della Campania e del Lazio, in Italia la maggior parte dell’acqua potabile contiene una quantità di ioni fluoro non sufficiente a garantire un effetto di protezione verso la carie. Nel sito http://www.acqueitaliane.org/ è reperibile il contenuto dello ione fluoro, espresso in mg/l, nelle più diffuse acque minerali reperibili in Italia.

Da queste premesse deriva l’importanza di integrare il patrimonio di fluoro per via topica e/o per via sistemica:

per via topica attraverso l’uso di tutti quei mezzi di erogazione che forniscono fluoro in concentrazioni elevate direttamente alle superfici esposte; l’esempio più caratteristico è dato dai dentifrici o collutori fluorurati, ma è anche possibile l’applicazione professionale periodica di gel fluorurati sui denti;
per via sistemica attraverso la somministrazione orale di fluoro in gocce o pastiglie.
La metodica di prevenzione della carie dentale mediante l’assunzione, topica o sistemica, di fluoro è chiamata fluoroprofilassi.

Ad oggi l’orientamento generale è quello di ritenere più efficace (e indubbiamente più sicuro) l’effetto preventivo ottenuto attraverso la via di somministrazione topica dopo l’eruzione dei denti.

Abbiamo accennato circa l’importanza del fluoro nei bambini. Fino ai 3-6 anni di età esiste tuttavia un pericolo piuttosto importante chiamato fluorosi dentale, derivante dall’assunzione involontaria di quantità eccessive di fluoro. I bambini colpiti da fluorosi presentano alterazioni del colore dei denti, in particolare degli incisivi permanenti, fino a vere e proprie ipoplasie dentali nei casi più gravi.

La causa più frequente di fluorosi è l’ingestione da parte del bambino del dentifricio usato per lo spazzolamento dentale. Per tale motivo l’orientamento di molti dentisti è quello di:

evitare l’utilizzo di dentifricio nello spazzolamento dei denti nel primo anno di vita;
tra il primo e i il sesto anno di età usare quantità minime (delle dimensioni di un pisello) di dentifricio a concentrazione standard di fluoro (1000 ppm) due volte al giorno, oppure utilizzarne uno a basso contenuto di fluoro (500ppm) due volte al giorno;
dopo i 6 anni si possono iniziare a utilizzare i dentifrici a più alto contenuto di fluoro (almeno 1000 ppm);
nei bambini ad alto rischio carie si può prendere in considerazione l’applicazione topica professionale di fluoro ogni 3-6 mesi.
Nell’adulto a rischio di carie medio-basso è sufficiente l’uso di dentifrici a concentrazione standard di fluoro (almeno 1000 ppm) due volte al giorno, mentre nei soggetti cariorecettivi possono essere usati dentifrici ad alto contenuto di fluoro (con circa 1.500 ppm), collutori al fluoro o vernici al fluoro applicate periodicamente dal dentista. Per massimizzare l’effetto benefico del fluoro contenuto nel dentifricio, è consigliabile non risciacquare o ridurre al minimo il risciacquo dopo lo spazzolamento.
L’eventuale uso di integratori fluorati dev’essere valutato assieme al dentista dopo un’attenta analisi della quantità di fluoro assunta quotidianamente da altre fonti.

La somministrazione di integratori fluorati (compresse, gocce), durante la gravidanza, allo scopo di ridurre il rischio di carie del nascituro, non è raccomandabile vista la mancanza di una chiara evidenza scientifica.

 

LA MALATTIA PARODONTALE (PARODONTITE)

Definizione

La parodontite è una malattia dentale ad eziologia batterica e a patogenesi infiammatoria.

Nota anche come piorrea, è una patologia piuttosto subdola che – se non curata – porta alla distruzione dei tessuti che assicurano sostegno e stabilità ai denti. Spesso, pertanto, il primo sintomo che allarma il paziente consiste nell’aumento della mobilità dentale, che in assenza di trattamenti adeguati progredisce lentamente fino alla caduta degli stessi.

 

 

 

paradontite

paro5

 

 Cause e sintomi

L’apparato di sostegno del dente, noto come parodonto, è costituito dalla gengiva, da fibre elastiche di collegamento (legamento parodontale), dal cemento radicolare e dall’osso alveolare di sostegno.

In un primo stadio, il processo infiammatorio che accompagna la parodontite interessa tipicamente le gengive (gengivite). Il sintomo più caratteristico di questa flogosi è rappresentato dal sanguinamento delle stesse, che si manifesta anche in seguito a traumi di modesta entità, come lo spazzolamento o la masticazione di cibi duri. Inoltre, una gengiva infiammata perde la naturale consistenza duro-elastica e le sfumature rosate che la caratterizzano, lasciando spazio a rossori e gonfiori anomali.

La gengivite, come del resto la parodontite, è primariamente dovuta alla placca dentale, quella sorta di patina appiccicosa che si distribuisce sulla superficie dei denti al termine dei pasti. Dietro questo materiale opalescente si nascondono piccolissimi residui di cibo ed intere colonie batteriche. Tanto più vengono lasciati liberi di proliferare e tanto più questi batteri aderiscono tenacemente alla superficie del dente, richiamando minerali ed altre sostanze, presenti nella saliva, che fungono da vero e proprio “scudo protettivo”. Questa sorta di corazza è chiamata tartaro e la sua durezza è tale per cui nemmeno i normali interventi di igiene orale (spazzolamento, collutorio, filo interdentale) riescono a scalfirla; l’unica soluzione, in questi casi, è sottoporsi ad un intervento di detartrasi professionale nello studio del dentista. Una visita fastidiosa, di cui molti farebbero volentieri a meno, ma importantissima per la salute dei nostri denti. Una gengivite trascurata, infatti, porta ad una retrazione del normale solco gengivale, fino a formare – con la complicità della placca batterica che l’ha generata – le cosiddette tasche parodontali. In conseguenza dell’infiammazione, infatti, le gengive si retraggono e si formano queste “tasche”, il cui nome è tutto un programma; tasca, infatti, dà idea di protezione, di un luogo relativamente sicuro e riparato dalla saliva con le sue cellule immunitarie e dai farmaci. Purtroppo, a beneficiare di tutto ciò non sono i nostri denti, ma alcuni batteri della placca; così, in assenza di interventi, i germi anaerobi si moltiplicano inesorabilmente fino ad estendere il processo infiammatorio al parodonto e alle ossa che fanno da base ai denti. Le tossine prodotte durante il loro metabolismo, infatti, aggrediscono le cellule dei tessuti parodontali, inclusi gli osteoblasti (cellule adibite alla riproduzione dell’osso che sostiene il dente).

Parodontite: sintomi precoci (da non sottovalutare)

  • Alito cattivo
  • Generalmente vi è assenza di dolore
  • Leggero sanguinamento delle gengive allo spazzolamento (o per altri stimoli modesti come la masticazione di cibi duri).
  • Strano sapore in bocca e cambiamento di colore (rossore), consistenza
    (rammollimento) o forma (gonfiore) delle gengive.

Parodontite: sintomi tardivi

  • Sanguinamento severo
  • Alitosi marcata
  • Recessioni gengivali con esposizione delle radici
  • Comparsa di spazi tra i denti
  • Eccessiva mobilità dentale
  • Fastidi di lieve entità fino alla dolenzia diffusa dei denti.

 

Il tutto, purtroppo, avviene spesso in maniera asintomatica, tanto che la parodontite può progredire ed aggravarsi senza quasi accorgersene. Purtroppo, tanto più tardivamente viene diagnosticata e tanto più la malattia è difficile da trattare; i costi ed i rischi degli interventi lievitano fino a sconfinare, nei casi più gravi, all’irreversibilità del processo. Nello stadio più avanzato, per la perdita del suo naturale sostegno, si assiste alla caduta del dente.

 

Trattamento e prevenzione

Il miglior mezzo di prevenzione della parodontite consiste nella pulizia regolare e accurata dei denti e degli interstizi; non solo spazzolino, dunque, ma anche filo interdentale. Anche l’astensione dal fumo è d’aiuto, poiché le tossine in esso contenute non possono che facilitare l’azione lesiva dei batteri. L’assicurazione sulla salute dei propri denti è completata da regolari controlli odontoiatrici, che permettono di riconoscere i segni precoci della parodontite e ad intraprendere interventi mirati. In questo modo è possibile prevenire i fattori di rischio modificabili, tra i quali ricordiamo anche lo stress e tutte le altre condizioni che possono diminuire le difese immunitarie dell’organismo (viceversa, quelle che le potenziano sono d’aiuto nella prevenzione della piorrea). Non si può invece intervenire in maniera diretta sulla suscettibilità genetica alla parodontite.

 

Lo sapevi che…

L’igiene orale è molto importante anche per la salute generale dell’organismo. Secondo recenti studi la parodontite, oltre ai classici problemi alla dentatura, aumenta il rischio di subire malattie cardiovascolari e, nella gestante, di partorire prematuramente; è inoltre più grave nel paziente diabetico, affetto da morbo di Crohn o colpito da altre patologie che minano le difese immunitarie e/o i tessuti connettivi delle gengive.

La parodontite riconosce numerosi sinonimi, come piorrea, malattia parodontale, parodontosi e parodontopatia.

La parodontite interessa a vari livelli di gravità circa tre quarti della popolazione adulta.

 

LA CARIE

La carie è un’infezione dentale a decorso estremamente lento, innescata dall’attacco di alcuni microorganismi che popolano il cavo orale. Nei primi stadi, la carie è asintomatica. Quando i batteri si spingono in profondità, il processo carioso dà origine a disturbi come mal di denti, alitosi ed ipersensibilità dentinale.
Una carie non curata può andare incontro a complicanze, quali pulpite, ascesso dentale, cisti dentarie, granuloma dentale, gengivite e piorrea.
La carie presenta un’origine multifattoriale. Il processo infettivo è causato da fattori esogeni (deposito di placca, alimentazione scorretta, tabagismo) ed endogeni (riduzione della saliva, struttura dei denti).
Alcuni fattori possono predisporre allo sviluppo di carie. Tra i più degni di nota, si annoverano: età infantile/puberale, sesso femminile, razza bianca, clima umido, gravidanza e scarsa igiene orale.
Esistono molte varianti di carie. Tra le più comuni, ricordiamo: carie acute, croniche, recidivanti, “secche od arrestate”, centrali, senili, carie da radiazioni ionizzanti, da vapori acidi e da lavoratori dello zucchero.
L’otturazione costituisce il trattamento d’elezione per la cura della carie. In caso di carie complicate associate a pulpiti o granulomi, è necessario ricorrere a devitalizzazione od apicectomia. L’estrazione del dente è riservata ai casi di estrema gravità, non risanabili mediante gli interventi appena citati.
La prevenzione della carie prevede la minuziosa e regolare igiene del cavo orale pluriquotidiana, periodici controlli dal dentista, una detartrasi professionale ogni 6-12 mesi e la sigillazione dei denti molari (non appena i denti da latte cadono per lasciar spazio a quelli permanenti).

La carie è un processo distruttivo che colpisce i tessuti duri del dente. E’ una malattia molto diffusa e si stima che colpisca, almeno una volta nella vita, circa il 90% della popolazione mondiale. L’elevato costo sociale della carie si ripercuote sia sulle tasche del singolo che su quelle dello stato.
Come tutte le patologie, anche la carie dentale non dev’essere sottovalutata: se trascurata può infatti portare alla perdita di parecchi denti e ad infezioni molto serie.
La carie può colpire indistintamente uomo ed altri esseri viventi; dopo la morte, il processo infettivo si arresta.

Denti colpiti da carie

1) Terzo molare (dente del giudizio)

2) Secondo molare (molare dei 12 anni)

3) Primo molare (molare dei 6 anni)

4) Secondo premolare (2° bicuspide)

5) Primo premolare (1° bicuspide)

6) Canino (cuspide)

7) Incisivo laterale

8) Incisivo centrale

9) Incisivo centrale

10) Incisivo laterale

11) Canino (cuspide)

12) Primo premolare (1° bicuspide)

13) Secondo premolare (2° bicuspide)

14) Primo molare (molare dei 6 anni)

15) Secondo molare (molare dei 12 anni)

16) Terzo molare (dente del giudizio)

Mappa dentale
17) Terzo molare (dente del giudizio)

18) Secondo molare (molare dei 12 anni)

19) Primo molare (molare dei 6 anni)

20) Secondo premolare (2° bicuspide)

21) Primo premolare (1° bicuspide)

22) Canino (Cuspide)

23) Incisivo laterale

24) Incisivo centrale

25) Incisivo centrale

26) Incisivo laterale

27) Canino (cuspide)

28) Primo premolare (1° bicuspide)

29) Secondo premolare (2° bicuspide)

60) Primo molare (molare dei 6 anni)

31) Secondo molare (molare dei 12 anni)

32) Terzo molare (dente del giudizio)

La carie dentale colpisce unicamente i denti esposti nel cavo orale, mai quelli completamente inclusi o del tutto isolati dall’ambiente orale da una capsula(corona artificiale).
La carie dentale può svilupparsi sia nei denti con polpa dentale integra sia in quelli privati della polpa, che hanno dunque subìto un intervento di devitalizzazione. Ancora, la carie può distruggere progressivamente denti naturali, denti senza radice, denti incorporati in una protesi e denti privi di tessuti parodontali.
La carie dentale colpisce più facilmente molari, premolari ed incisivi superiori. In genere tende a svilupparsi tra gli spazi interdentali laddove risulta più difficoltosa la rimozione dei residui alimentari con lo spazzolino. L’accumulo ed il ristagno di cibo tra i solchi intercuspidali (quella specie di conca che si forma tra le 4 punte del dente) spiega invece la maggiore predisposizione di molari e premolari alla patologia.

Progressione della carie

La carie dentale rammollisce i tessuti duri dei denti che, solo successivamente, verranno distrutti. Precisamente, il processo carioso è la sola ed unica infezione dentale in grado di rammollire smalto e dentina prima di guastarli. Dall’esame radiografico di un dente cariato si evince che l’ammorbidimento dei tessuti duri è essenzialmente dovuto alla progressiva demineralizzazione del dente.
Possiamo distinguere l’evolversi del processo carioso in due fasi ben distinte:

  1. Prima fase (CARIE SUPERFICIALE): il processo carioso intacca lo smalto, il durissimo rivestimento esterno del dente, demineralizzandolo. La carie ha inizio al di sotto della placca batterica, in alcune zone elettive dello smalto. Inizialmente, la carie presenta una tipica cromia bianco-gesso, sovente marroncina. Se in questa fase viene trascurata, l’infezione cariosa assume un tipico andamento progressivamente ingravescente.
  2. Seconda fase (CARIE PENETRANTE): i prodotti acidi derivanti dalla fermentazione degli zuccheri riescono a perforare lo smalto aprendosi la strada verso la dentina. Superata questa seconda barriera, la carie arriva alla polpa, ricca di vasi e terminazioni nervose, provocando i sintomi caratteristici della patologia. Ricordiamo brevemente che nella dentina la propagazione del processo cariogeno viene facilitata perché, rispetto allo smalto, il tessuto appare nettamente meno calcificato. Qualora neppure in questa fase la carie venisse trattata, l’infezione può evolvere nelle differenti forme cliniche.

Progressione della carie

La carie si propaga dunque dall’esterno verso l’interno dell’elemento dentale. Si tratta di una patologia cronica a decorso estremamente lento: nella maggior parte dei casi, il processo carioso evolve in un periodo di tempo variabile dai 6 mesi ai 2 anni.

La carie non può guarire da sola: infatti, i tessuti dentali non possiedono capacità rigenerativa. L’unica soluzione per porre rimedio al processo cariogeno è l’otturazione (o nei casi più gravi la devitalizzazione).

 

 

 

GLI INTARSI DENTALI

Sempre più pazienti desiderano sostituire le loro vecchie otturazioni d’amalgama con un materiale che sia biocompatibile e durevole nel tempo.
Gli intarsi in ceramica o in composito sono all’apice, dal punto di vista funzionale ed estetico, delle alternative oggi a nostra disposizione.

Gli intarsi sono otturazioni eseguite nel laboratorio, usate per i denti posteriori (premolari e molari) e cementate nella cavità del dente precedentemente preparata.

Si utilizzano principalmente per i denti posteriori, cioè premolari e molari dove è facile che la cavità sia di grosse dimensioni, per ovviare alla contrazione del materiale composito durante la polimerizzazione (vedi anche otturazioni in composito).

In altre parole, il dente viene preparato come per un’otturazione che, invece di essere effettuata dal dentista, viene eseguita dal laboratorio, che gestirà alla perfezione la zona di chiusura del restauro sul modello.

Infatti, dopo la rimozione delle vecchie otturazioni difettose o della carie, l’impronta della cavità (realizzata con un materiale di precisione) verrà inviata al laboratorio, dove l’odontotecnico realizza, in composito o in ceramica, l’equivalente della parte mancante che riempirà la cavità con estrema precisione, ricostruendo la forma originaria del dente.

L’intarsio verrà poi cementato nella cavità durante una seconda seduta in studio dove viene utilizzata  una speciale procedura adesiva e un sottilissimo film di cemento composito che elimina ogni spazio intermedio, così da ridurre al massimo il rischio infiltrazione batterica.

Il risultato sarà un’adesione chimica tra il dente e intarsio, che restituisce al dente la sua originaria integrità.

Vantaggi e svantaggi degli intarsi

  • Esteticamente molto validi
  • Elevata precisione nella chiusura marginale
  • Ottima durata nel tempo
  • Ottima biocompatibilità
  • Più costosi rispetto ad una corrispettiva otturazione in composito
  • Necessarie due sedute di trattamento

Di che materiale possono essere fatti gli intarsi?

Gli intarsi possono essere fatti di vari materiali: d’oro, di ceramica o di resine composite, anche se oggigiorno tendiamo a non utilizzare l’oro per motivi di carattere puramente estetico.

Viene valutato, comunque, ogni singolo caso per scegliere il materiale più adatto alle necessità estetiche (posizione del dente in arcata) e funzionali (carico masticatorio, profondità della cavità da trattare).

Negli intarsi in composito o in ceramica il colore viene scelto in base a quello del dente da restaurare e dei denti vicini, in modo da avere un effetto naturale.

I TRAUMI DENTALI

Per gentile concessione del DR. David  Pescarolo – www.davidpescarolo.it

Il trauma dentario avviene sempre inaspettatamente e pertanto richiede una terapia d’urgenza, un piano di trattamento congruo e controlli a distanza. La frequenza dei traumi dentali è alta e colpisce circa il 20% dei bambini in dentizione decidua ed oltre il 15% della dentizione permanente. Rappresentano quindi con i processi cariosi le patologie più frequenti in Pedodonzia. Le cause più frequenti di traumi sono rappresentate dal gioco (56%), dalle attività sportive (21%), da incidenti stradali (11%) e da atti di violenza (12%).

I soggetti più colpiti sono di sesso maschile (rapporto 2 a 1) ed il tipo di lesione varia col variare dell’età del soggetto. I denti più colpiti sono gli incisivi centrali superiori (50%) e laterali superiori (30%) sia nei decidui che permanenti.

È importante una prevenzione primaria, con l’utilizzo di paradenti, in ambiente sportivo;,con riduzione dei fattori di rischio predisponenti, come ad esempio l’aumento della protrusione dentale associata ad incompetenza labiale. Raramente il trauma interessa un solo dente ma più elementi dentali vengono coinvolti a volte in modo subdolo per cui richiedono controlli radiografici attenti e controlli della vitalità nel tempo.

DANNI AI DENTI PERMANENTI A SEGUITO DI TRAUMI AI DENTI DECIDUI

Dato lo stretto rapporto fra le radici dei denti decidui e i denti permanenti in via di formazione all’interno dell’osso mascellare o mandibolare, molti traumi dentali, specialmete le lussazioni intrusive possono creare danni ai denti permanenti.

Nelle lussazioni sia estrusive  che intrusive e nelle exarticolazioni si possono verificare danni postumi di varia gravità ai denti permanenti.
Tra i più frequenti sono da segnalare:

  1. macchie a livello della corona dentale, curabili  con la laser terapia.
  2. ipoplasia di smalto e dentina,  curabile con adatte ricostruzioni in composito.
  3. eruzione fuori sede, curabile con terapia ortodontica.
  4. malformazioni  del germe dentale (inginocchiamento o dilacerazione), sovente è necessaria l’estrazione

La prevenzione delle complicanze del trauma si attua con una terapia mirata al recupero degli elementi dentali attraverso:

  • tempestività di intervento
  • corretta diagnosi e trattamento appropriato
  • conrtolli e monitoraggio a distanza.

Precise linee guida diagnostiche e terapeutiche vengono suggerite dall’OMS, dalla gestione dell’emergenza, dal post operatorio immediato al controllo a distanza .

La classificazione proposta dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ed accettata dalla IADT (International Association Of Dental Traumatology) propone diversi stadi di danno, dalla semplice infrazione della corora, alla frattura complicata della corona dentaria fino alla esarticolazione dell’elemento dentario.

I traumi dentali sia in dentizione decidua che permanente si dividono in:

TRAUMI AI TESSUTI DURI:

Infrazione della corona dentale

Trattasi di frattura incompleta dello smalto senza perdita di sostanza dentale; sono ben visibili con una sorgente luminosa posta dietro al dente.
Anche questi traumi che possono a prima vista sembrare insignificanti vanno seguiti nel tempo con controlli periodici trimestrali della vitalità pulpare.
Vi è infatti pericolo di lesioni e necrosi a distanza, con discromie, ascessi e possibili successivi danni ai denti permanenti sottostanti in formazione.
È infatti più facile avere danni pulpari con le infrazioni  che non  nei denti fratturati perchè il trauma viene ammortizzato dalle parti dure del dente e dall’osso alveolare provocando quindi danni alla polpa dentale che risulta essere la parte più debole.

Frattura della corona dentale non complicata

Frattura limitata allo smalto e dentina senza  esposizione pulpare. Si ricerca il frammento del dente che ripulito viene conservato in soluzione fisiologica. Anche se ritrovato dopo 24-48 ore e quindi discolorato il frammento può essere recuperato; reidratato con soluzione fisiologica riacquista il colore primitivo. A distanza di alcuni giorni si può procedere al reincollaggio del frammento. Se il frammento non si trova, si ricostruirà con materiali estetici. Seguiranno controlli periodici con rx e test di vitalità pulpare.

Frattura della corona dentale complicata

Frattura dentale interessante smalto e dentina con esposizione pulpare.
L’esame radiografico è di estrema importanza per valutare la lunghezza della radice, se incompleta (immatura) o se si è già completata la chiusura dell’apice (matura), oltre ad escludere patologie concomitanti quali frattura di radice, riassorbimenti esterni e interni della stessa, etc.

Terapia d’urgenza

La terapia è diversa a seconda della patologia riscontrata.
Se l’esposizione pulpare è piccola (inferiore a un millimetro quadrato) e il trauma è avvenuto entro le 48 ore, è consigliabile la tecnica dell’incappucciamento pulpare.

Se l’esposizione pulpare è più estesa ed il trauma data oltre 48 ore si eseguirà una pulpotomia cioè si asporta il tessuto pulpare dalla camera pulpare, mantenendo invece la polpa contenuta nella radice che resta vitale.

Nel caso invece di necrosi pulpare o di pulpiti estese se il dente presenta un apice completamente formato si eseguirà una pulpectomia cioè l’asportazione totale della polpa dentale, seguita da adatta otturazione del canale radicolare con materiali non riassorbibili e perfetta chiusura del canale (terapia endodontica) e poi la ricostruzione del dente.
Infine nei casi di necrosi pulpare di denti immaturi si dovrà procedere con l’apecificazione, cioè con la rimozione della polpa dentale fino al punto ove  è formata la radice e successivo riempimento con materiale adatto,  permettendo in tal modo la formazione di una barriera calcificata attraverso l’apice ancora beante ed incompleto, da ripetere ogni 2 o 3  mesi.
A distanza di mesi si potrà poi eseguire una terapia endodontica completa e la ricostruzione dentale.

Frattura corono-radicolare e frattura radicolare:

Frattura interessante smalto-dentina-radice o solamente la radice. Sono sempre fratture con prognosi riservata sia per la vitalità pulpare che per la durata o il recupero del dente traumatizzato.
Basilare l’esame radiografico in varie proiezioni e la rapidità della terapia.

Terapia d’urgenza

Nei casi di fratture radicolari occorre eseguire quasi sempre un bloccaggio dei monconi fratturati: ideale è quello ortodontico, cioè con la metodica di fissazione con attacchi e filo ortodontico, soprattutto nelle fratture radicolari, e lasciato in situ 2 o 3 mesi. Se  eseguito entro 24-48 ore dal trauma si riesce molte volte a riavere un buon riattacco dei due monconi e la conservazione della vitalità pulpare, con formazione di tessuto calcificato  (osteodentina), o con altri tipi di guarigione. Viceversa, e quasi sempre nelle fratture corono-radicolari, si  deve procedere a terapia pulpare e con piccoli interventi di chirurgia mucogengivale per accedere alla zona.

Controlli rx e della vitalità pulpare ogni mese per 6 mesi.

TRAUMI AI TESSUTI DI SOSTEGNO:

Diverse possono essere le eventualità e pertanto adeguata al caso sarà la terapia

1) Concussione

Lesione alla struttura di supporto del dente con normale mobilità e senza dislocamento del  dente.
Vi è spiccata reazione alla percussione. Necessità solo di controlli dell’occlusione e dei test di vitalità pulpare periodici per 3-6 mesi e di una rx iniziale. Possibilità di discolorazione (discromia) e necrosi pulpare a distanza.

2) Lussazione estrusiva

Il dente è mobile nel suo alveolo e dislocato verso l’esterno.
L’esame rx permette di valutare l’entità dello spostamento e se vi sono lesioni ossee ed il grado di formazione della radice.
Fondamentale il tempo intercorso dal trauma. Se avvenuto entro 12-24 ore è possibile riporre con estrema cura e delicatezza in sede il dente estruso ed applicare uno splint ortodontico su almeno 4 denti vicini; si evitano in tal modo ulteriori traumi e formazione di anchilosi; permettendo così il recupero della vitalità  pulpare e dove la radice è immatura la sua formazione.

3) Lussazione intrusiva

Dislocazione parziale o totale del dente all’interno del proprio alveolo. È certamente una delle lesioni traumatiche dentali più gravi. Per quanto riguarda i decidui fortunatamente nella maggior parte dei casi la terapia è di attendere una rieruzione spontanea del dente che può iniziare già pochi giorni dopo il trauma e completarsi nel volgere di alcune settimane anche se vi sono casi con eruzione più tardiva. È importante una accurata disinfezione, attuare manovre corrette, ed avere una dieta morbida per 7 – 10 giorni, permettendo poi a distanza di anni una permuta normale e fisiologica dei denti permanenti.
Contrariamente alle lussazioni intrusive nei decidui ove si attende la rieruzione spontanea, nei permanenti questo avviene raramente e solo per i denti con radici parzialmente formate. In tutti gli altri casi si deve quindi procedere ad una terapia con un apparecchio ortodontico fisso su numerosi denti  vicini onde ottenere un lento e graduale riposizionamento.
La terapia ortodontica che permette agli elementi dentari una certa ripresa della funzionalità, essendo elastica, ed agendo con forze leggere, viene lasciata in situ per 2-4 settimane.
Risultati a distanza: occorrono rx periodiche e test di vitalità pulpare ogni 3 mesi.
Purtroppo nelle lussazioni intrusive si ha una alta percentuale di necrosi pulpare (quasi il 90% dei casi con apice maturo, cioè totalmente formato). Se il dente diventa discromico, si possono usare tecniche di sbiancamento (professionale o domiciliare). Inoltre si ha nel 17% dei casi riassorbimento parziale della radice ed oltre il 12% di anchilosi dentale. È  fondamentale escludere l’avulsione del dente.

4) Avulsione o exarticolazione

Completa dislocazione del dente fuori dall’alveolo. A seconda del tempo intercorso fra il trauma e la prima visita la terapia si differenzia in:

REIMPIANTO IMMEDIATO

Se il dente (o i denti) avulso è conservato in soluzione fisiologica o nella saliva o nel latte fra i 20 e i 60 minuti dal trauma si può eseguire reimpianto immediato. È fondamentale mettere il (oppure i) dente avulso in questi tipi di liquidi subito onde permettere l’equilibrio osmotico con i tessuti, che invece non si ha se si mette solo in acqua, determinando così elevate percentuali di anchilosi.
Il dente va deterso, lavato abbondantemente, e così pure l’alveolo, con soluzione fisiologica e viene poi reimpiantato delicatamente e splintato per 2 – 4 settimane con apparecchio ortodontico.
Occorre sempre la copertura precoce antibiotica entro le 24 ore, (penicillina) che diminuisce il riassorbimento osseo e nei casi indicati la tetano-profilassi. Ricerche sperimentali ed istologiche hanno stabilito che il limite massimo di tempo per impiantare un dente avulso, mantenuto in ambiente liquido, è di circa 1 ora. Se il dente invece è rimasto in campo asciutto la polpa va in necrosi dopo 15 minuti e si completa in 25-60 minuti. Ancora più sensibile è il legamento periodontale. Se il dente è rimasto oltre un’ora in ambiente secco va totalmente in necrosi. Resta quindi fondamentale conservare il dente avulso in ambiente liquido subito dopo il trauma.

REIMPIANTO  TARDIVO

Reimpianto eseguito oltre le due ore dal trauma o mantenuto in campo asciutto.
Come già ricordato prima, se il dente avulso resta in ambiente secco il tessuto pulpare inizia la propria necrosi dopo 15 minuti e la completa in 25-60 minuti, ed il legamento periodontale va in necrosi in un’ora. Prima di inserire il dente nell’alveolo quindi si deve curettare e levigare la radice delicatamente rimuovendo i residui del legamento, senza danneggiare il cemento radicolare, e procedere alla terapia endodontica, cioè estirpazione della polpa ed otturazione del canale pulpare.
I traumi dentali possono porre due problematiche di tipo ortodontico.

  • gestione di spazi edentuli a seguito traumatismo.
  • necessità di muovere ortodonticamente denti che hanno subito un trauma.

Durante il trattamento ortodontico vi sarà un aumentato rischio di riassorbimento radicolare e di perdita di vitalità pulpare del dente che ha subito un trauma.
I casi che necessitano, con maggior frequenza, di terapia ortodontica post-trauma dentale, riguardano protrusione eccessiva degli incisivi superiori (overjet aumentato), morsi aperti.

Se il trauma avviene durante la cura ortodontica attiva con apparecchiature fisse, molte volte esse contribuiscono alla dissipazione dell’urto e a ridurre le  lesioni.
Infine si possono iniziare terapie ortodontiche dopo che uno o più denti hanno subito dei traumi.
Si suggeriscono in questo caso i seguenti periodi di osservazione e di attesa prima di iniziare la terapia ortodontica attiva:

Fratture coronali e concussioni: tre mesi (può formarsi una barriera di tessuti duri), è necessario verificare la vitalità pulpare.
Lussazioni intrusive, estrusive, avulsione, fratture radicolari:  almeno  un anno.
Denti immaturi traumatizzati: attendere lo sviluppo radicolare.

Dalla tempestività dell’intervento, dalla  accurata e perfetta prima fase sia diagnostica che terapeutica in centri specializzati dipenderà per oltre il 90% il risultato finale a distanza.
È quindi fondametale l’interdisciplinarietà fra pediatri, medici sportivi ed odontoiatri infantili.

L’ODONTOIATRIA PEDIATRICA

L’odontoiatria pediatrica si occupa della salute della bocca dei bambini dalla nascita sino all’adolescenza. Il dentista pediatrico, detto anche pedodontista, è un odontoiatra che ha una preparazione professionale specifica, clinica e psicologica,che gli permette di trattare bambini anche piccolissimi grazie ad un approccio che mira ad instaurare un  rapporto di fiducia e collaborazione. L’ottenimento della fiducia del bambino e la sua serenità sono il primo obiettivo che l’odontoiatra si deve porre ed è indispensabile per la corretta applicazione dei protocolli terapeutici e di prevenzione e per il futuro rapporto del bambino con l’odontoiatra anche quando sarà adulto.

Compito specifico del pedodontista è anche occuparsi della prevenzione della carie e quindi motivare ed insegnare le corrette tecniche di spazzolamento dei denti, dare suggerimenti riguardo la dieta alimentare,  applicare  tutti i presidi di prevenzione quali test salivari, lacche al fluoro e  sigillanti. Inoltre è in grado di controllare, correggere e prevenire anomalie di sviluppo dei denti e delle ossa mascellari, quindi prevenire e trattare malocclusioni, correggere abitudini viziate,  traumi dentali.

I bambini, i ragazzi preadolescenti e gli adolescenti hanno bisogno di un approccio comportamentale differenziato a seconda della loro età.

CRESCITA DEI DENTI DECIDUI

Le mamme non devono preoccuparsi per i tempi di comparsa dei denti, sia per quanto riguarda i decidui, sia per i permanenti: la variabilità è tale che può portare a differenze notevoli, da bambino a bambino, ma questo non è patologico, è solo una caratteristica peculiare dello sviluppo di ogni persona. Diverso è il caso di un ritardo nell’eruzione di un solo dente o più di uno. In questa situazione è normale e giusto che la mamma si insospettisca e faccia fare al piccolo una visita di controllo.
La formazione dei denti avviene già nel feto, intorno al terzo mese di gravidanza. Perché “spuntino” bisogna però aspettare che passino alcuni mesi dalla nascita.
Di solito i primi dentini compaiono a 6-10 mesi ma il lasso di tempo può essere più ampio, tra i 4 e i 17 mesi, a seconda dei bambini.
Anche il completamento della dentizione da latte, formata da 8 incisivi, 4 canini e 8 molari, può avvenire in periodi variabili, di solito tra i 24 e i 30 mesi.
La caduta dei primi denti decidui di solito avviene intorno ai 6 anni. Dapprima cadono gli incisivi superiori, poi i canini, poi i molari. Contemporaneamente alla caduta degli incisivi, compaiono i primi molari permanenti.

COME SONO FATTI I NOSTRI DENTI

Ogni dente è formato da due parti: la corona (la parte visibile fuori dalla gengiva) e la radice (la parte interna impiantata nell’osso).
I denti esternamente sono costituiti dal tessuto duro detto dentina, ricoperto dallo smalto nella parte che corrisponde alla corona, e dal cemento nella parte che corrisponde alla radice.
Al suo interno la dentina racchiude un tessuto molle: la polpa ricca di vasi sanguigni e fibre nervose.

Baby teething chart

PAURA DEL DENTISTA? NON PIÙ CON LA SEDAZIONE COSCIENTE!

La paura del dentista è un timore comune e socialmente accettato, ma in alcuni casi può arrivare ad assumere la forma di una vera e propria fobia. I pazienti che soffrono di odontofobia, oltre alla paura del dolore fisico, possono presentare sintomi quali sudorazione, tachicardia, senso di soffocamento, tremore, fino ad arrivare a veri e propri attacchi di panico. Il rischio è che la fobia porti il paziente alla rinuncia di qualsiasi terapia anche necessaria.

Questa condizione psicologica rende una visita medica fonte di grande stress. Con la sedazione cosciente non ci sono più scuse per trascurare la propria salute orale! 

Si tratta di inalare una miscela di ossigeno ed azoto ed abbandonarsi all’invitante senso di relax: il paziente percepisce fin da subito una sensazione di leggerezza e totale benessere, le preoccupazioni svaniscono ed il tempo passa rapidamente. I gas naturali utilizzati sono di facile assorbimento per l’organismo e vengono eliminati semplicemente attraverso la respirazione.

La sedazione cosciente non ha controindicazioni. E’ efficace su adulti e bambini e non provoca alterazioni dello stato di coscienza: ciò significa che, al termine della seduta odontoiatrica, il paziente può lasciare lo studio dentistico da solo, in condizioni psicofisiche totalmente normali.

La prestazione viene sempre preceduta da una visita da parte dell’odontoiatra. Può essere praticata per gli interventi di chirurgia complessa (es. estrazioni di ottavi inclusi ed implantologia) o anche per una semplice igiene.

Da oggi puoi dire addio al dolore, al fastidio e alla paura di sottoporti alle cure odontoiatriche. Scegli la calma rassicurante della sedazione!

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LA SEDAZIONE COSCIENTE PER VIA INALATORIA IN SINTESI:

  • Potenzia l’effetto dell’anestetico
  • Minimizza la sensazione del trascorrere del tempo
  • Il protossido d’azoto è un gas esilarante e per questo piace a tutti
  • Elimina il riflesso del vomito
  • Lascia una piacevole sensazione di benessere
  • Non ha effetti collaterali, indicato anche per i bimbi
  • Dopo 10 minuti l’effetto è scomparso e si può guidare
  • Esiste in USA, UK, Paesi del Nord da oltre 20 anni
  • Toglie: ansia, paura, stress, disagio, vergogna, inquietudine, nervosismo e impazienza

 

Filler

Cosa sono

Capostipite dei filler riassorbibili, l’acido ialuronico è una sostanza largamente utilizzata nell’ambito della medicina estetica, soprattutto per:

  • Correggere inestetismi della pelle tipici dell’invecchiamento cutaneo, come rughe e piccole depressioni.
  • Conferire turgore e pienezza a labbra sottili e zigomi cadenti.
I fillers all’acido ialuronico vengono iniettati sottopelle attraverso apposite siringhe dotate di aghi supersottili: le iniezioni di acido ialuronico vengono normalmente eseguite in regime ambulatoriale, e il fastidio percepito durante il trattamento è piuttosto sopportabile.
La vasta disponibilità sul mercato di filler formulati con acido ialuronico a concentrazioni differenti ha permesso di intervenire su svariati fronti e soddisfare molteplici richieste estetiche, spaziando dalla correzione delle piccole rughe d’espressione all’aumento volumetrico di labbra e seno.

 

Acido ialuronico

Cos’è l’acido ialuronico?

L’acido ialuronico è un componente della cosiddetta sostanza fondamentale del derma: si tratta di un glicosaminoglicano, ovvero una molecola formata da lunghe catene non ramificate di unità disaccaridiche (alternanza di acido glucuronico ed N-acetilglucosamina). Legandosi a moltissime molecole d’acqua, l’acido ialuronico conferisce idratazione, elasticità e morbidezza ai tessuti, proteggendoli nel contempo da sollecitazioni eccessive.
La concentrazione di acido ialuronico nel tessuto connettivo della pelle si riduce gradualmente man mano che l’età avanza: per questa ragione, una pelle matura appare meno elastica e meno idratata rispetto alle pelli giovani. Pur essendo un fenomeno del tutto fisiologico e naturale, molte donne desiderano contrastare l’inesorabile avanzamento dell’età, dunque prevenire rughe ed altri inestetismi della pelle. L’obiettivo è risultare (almeno in apparenza) molto più giovani e nulla meglio del filler all’acido ialuronico sembra poter soddisfare questo desiderio.

Il filler all’acido ialuronico trova indicazione nelle seguenti circostanze:

  • Plasmare rughe d’espressione, zampe di gallina, rughe glabellari (che originano nella fronte, precisamente nella porzione immediatamente sovrastante il naso)
  • Colmare piccole lesioni cicatriziali (es. cicatrici lasciate dall’acne)
  • Inturgidire labbra sottili e prive di volume
  • Volumizzare zigomi cadenti (in tal caso, il filler dev’essere preparato con una concentrazione più elevata di acido ialuronico)
  • Rimodellamento del profilo del volto
  • Correzione di esiti cicatriziali post-traumatici/chirurgici

Iniezione del Filler all’Acido Ialuronico

L’iniezione di filler all’acido ialuronico è un trattamento non invasivo relativamente semplice da eseguire, ma che deve essere effettuato solo da personale medico specializzato in quest’ambito.
Naturalmente, prima di eseguire l’iniezione, è necessario effettuare una visita preliminare con lo specialista, al fine di escludere la presenza di eventuali controindicazioni a questo tipo di trattamento.
A differenza delle iniezioni di collagene, i fillers all’acido ialuronico non generano, normalmente, reazioni allergiche: per questa ragione, non è necessario sottoporsi al test intradermico preliminare per valutare un’eventuale allergia.
Vista la scarsa invasività dell’operazione, il trattamento con filler all’acido ialuronico viene normalmente eseguito in regime di day hospital e non richiede anestesia. Tuttavia, le iniezioni di acido ialuronico non sono completamente indolori. Infatti, la maggior parte dei pazienti che ricorre a filler all’acido ialuronico accusa una spiacevole sensazione di bruciore e fastidio durante e dopo il trattamento. Per ovviare a questo inconveniente, molti medici specializzati in medicina estetica preferiscono iniettare l’acido ialuronico solo dopo aver anestetizzato la parte da trattare (in genere, la lidocaina è il principio attivo più utilizzato a tale scopo).
Subito dopo il trattamento, l’area del volto (o del corpo) trattata può manifestare effetti secondari come arrossamento e gonfiore, cui può associarsi la comparsa di piccoli ematomi. Tuttavia, tali effetti dovrebbero autorisolversi nel giro di qualche giorno.
Tutte le normali attività quotidiane possono essere riprese fin da subito e non è necessario alcun periodo di convalescenza.

 

Risultati

I risultati ottenibili con i filler all’acido ialuronico sono molto buoni e riscuotono sempre un buon livello di soddisfazione nei pazienti.
Questi filler, infatti, permettono di ottenere un effetto ringiovanito e rimpolpato del tutto naturale che non conferisce artificialità all’area del volto o del corpo nel quale vengono iniettati (effetto soft-lifting). Inoltre, i risultati sono visibili fin da subito e ciò aumenta ulteriormente la soddisfazione dei pazienti.
Tuttavia, pur essendo pressoché immediati, gli effetti di ringiovanimento estetico della pelle regalati dal filler all’acido ialuronico non sono permanenti; tant’è che dopo un periodo di tempo relativamente breve (variabile da 4 mesi a 2 anni, in funzione del tipo di filler utilizzato), le rughe iniziano nuovamente a comparire, e le labbra (gli zigomi o le altre parti del volto e del corpo trattate) perdono progressivamente il loro volume. Ciò avviene perché l’organismo è in grado di metabolizzare l’acido ialuronico iniettato (da qui il nome di “filler riassorbibile”).
Il graduale riassorbimento del filler da parte della pelle rende, pertanto, necessaria la periodica ripetizione delle iniezioni di acido ialuronico dopo la scomparsa dell’effetto.
Ad ogni modo, è doveroso ricordare gli effetti e i risultati ottenuti con le iniezioni di filler all’acido ialuronico – per quanto sempre buoni – possono essere diversi da individuo a individuo. Difatti, essi dipendono da:

  • Tipo di pelle.
  • Concentrazione di acido ialuronico.
  • Tipologia di filler iniettato.
  • Zona da trattare.

Inoltre, la durata dell’effetto promosso dalle iniezioni di filler all’acido ialuronico è pesantemente influenzata da fattori come stress, tabagismo, alimentazione, abitudini di vita, sedentarietà ed esposizione ai raggi UV naturali/artificiali.

 

Effetti Collaterali

Nel corso degli anni, l’acido ialuronico si è conquistato il titolo di leader tra tutti gli agenti dermici di riempimento (fillers). Difatti, l’effetto anti-aging promosso dalle iniezioni di questa sostanza è sorprendente: volumizza, ammorbidisce, idrata e – soprattutto – ringiovanisce la pelle invecchiata da stress, fumo, raggi UV ed età. Nonostante questi aspetti postivi, il filler all’acido ialuronico non è privo effetti collaterali.
Infatti, immediatamente dopo l’iniezione, la pelle tende a reagire dando origine ad ematomi, ecchimosi, edemi, intorpidimento e lividi che, anche se piuttosto fugaci e generalmente lievi, possono causare disagio estetico non trascurabile.
Inoltre, in alcune circostanze, sono stati riportati alcuni rari casi di gravi traumatismi post-iniezione. Tra questi, ricordiamo:

  • Rossore persistente;
  • Edema intermittente;
  • Noduli;
  • Prurito;
  • Formazione di ascessi.

Controindicazioni

Sebbene gli effetti collaterali gravi derivati dalle iniezioni di acido ialuronico siano poco frequenti, si sconsiglia vivamente di somministrare il filler durante la gravidanza e l’allattamento. Inoltre, il filler all’acido ialuronico è controindicato in presenza di malattie della pelle, infezione da Herpes in corso, patologie autoimmuni della cute e collagenopatie.

 

Risultati immagini per filler labbra