LEGAME TRA DIABETE E MALATTIE PARODONTALI

Il legame tra diabete, malattia parodontale e nutrizione è stato al centro della quarta sessione europea del seminario Joslin-Sunstar Diabetes Education (JSDEI), organizzato dalla Fondazione Sunstar e dal Joslin Diabetes Center, tenutosi il 6 novembre a Barcellona. L’evento ha mirato a promuovere la collaborazione tra medici e odontoiatri nella lotta per la salute.

“Siamo molto lieti di contribuire a diffondere l’importanza del legame tra salute orale e salute sistemica,” commenta Masakazu Nakamura, amministratore delegato di Sunstar Suisse, partner della JSDEI.

Durante l’evento, è stato sottolineata l’esistenza di un rapporto bidirezionale tra diabete mellito e malattia parodontale: la parodontite raddoppia il rischio di sviluppare il diabete ed i diabetici hanno tre volte in più la probabilità di avere problemi di salute orale. 

Il dottor Mariano Sanz,  docente di Parodontologia presso l’Università di Madrid, Spagna, ha dichiarato che la parodontite è un potenziale fattore di rischio per varie malattie sistemiche, tra cui il diabete, le malattie cardiovascolari e l’artrite reumatoide, evidenziando come “in realtà, molti suggerimenti per prevenire i fattori di rischio dovrebbero essere dati dal dentista come parte del trattamento parodontale “.

E’ dunque stato sottolineato fondamentale il ruolo del dentista nella lotta contro queste gravi malattie, in collaborazione con altri professionisti della salute, per permettere ai pazienti di difendere al meglio la propria salute.

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FARE DIAGNOSI DI PARODONTITE PUO’ CAMBIARE UNA VITA

Nell’attività clinica di tutti i giorni, la malattia parodontale è una patologia di frequente risconto che può manifestarsi con forme e gravità differenti, mantenendo sempre un carattere cronico-degenerativo.

L’Associazione Americana di parodontologia definisce la parodontite cronica come un’infiammazione della gengiva che si estende all’adiacente  apparato  di  supporto  del  dente.  Essa  è  caratterizzata  dalla  perdita  di  attacco clinico  (CAL)  dovuto  alla  distruzione  del  legamento parodontale  e dell’osso di supporto adiacente.

Trattandosi di una patologia multifattoriale, non si dovrà sottovalutare alcuna informazione, pertanto si procederà ad un’attenta raccolta dei dati anamnestici.

La compilazione della cartella clinica in ambito medico è una fase di importanza centrale nel contesto di qualunque presidio sanitario, sia esso una struttura pubblica o privata.

Anche la cartella clinica parodontale, quindi, dovrà avere una struttura ben precisa, che si può codificare in tre sezioni.

Innanzitutto saranno indagati i dati sull’età, la scolarità e la posizione lavorativa del paziente. Importantissimo il dato delle abitudini viziate, in primis il fumo e la valutazione di eventuali patologie correlate, in particolare il diabete, a tale scopo verranno poste domande sull’anamnesi patologica prossima e remota.

Problemi parodontali e correlazioni sistemiche

Video inserito su Youtube da waltayeb

In seconda analisi si porranno al paziente domande strettamente inerenti le sue abitudini di igiene orale e parodontali, nonché sulla sua percezione di problemi quali alitosi, sanguinamento, mobilità dentale, dolore a diversi tipi di stimolazione.

Infine l’ultima parte della cartella parodontale, verrà compilata grazie alle informazioni che il clinico riscontrerà durante l’esame clinico obiettivo. 

Saranno pertanto indagati:

  • Accumulo di placca
  • Sanguinamento al sondaggio
  • Profondità di sondaggio (PPD)
  • Perdita di attacco (CAL)

A corredo dell’esame clinico oltre alla panoramica, che deve essere sempre presente, può essere eseguito uno status radiografico, costituito da 16 radiografie endorali + due bite-wing.

Il momento cruciale per una corretta diagnosi della malattia parodontale rimane quindi quello di domandare al paziente le informazioni necessarie all’individuazione dei quadri patologici.

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BATTERI SEMPRE PIU’ RESISTENTI: ITALIA TRA I PRIMI NEL CONSUMO DI ANTIBIOTICI

Batteri sempre più resistenti e abuso di antibiotici, soprattutto in Italia: questo il messaggio che arriva dal rapporto annuale dell’European Center for Diseases Control.
Il dato medio Ue di consumo di antibiotici al di fuori degli ospedali risulta essere, secondo il rapporto, di 21,6 dosi al giorno ogni mille abitanti nel 2014, e varia dalle 10,6 dell’Olanda alle 34,6 della Grecia. L’Italia, con 27,8 dosi, si trova al quinto posto, dietro a Francia, Romania e Belgio. All’interno degli ospedali invece la media europea è stabile a 2 dosi al giorno ogni mille abitanti. Anche in questo caso l’Italia si trova sopra la media con 2,2 dosi, confermando la tendenza che vede il sud Europa come un maggior consumatore di antibiotici: “La popolazione del sud Europa vuole evitare l’incertezza e fare subito qualcosa, questo è un fattore culturale che incide sul consumo – ha spiegato Dominique Monnet dell’Ecdc – ma accanto a questo c’è un problema di controllo e di consapevolezza del problema”.
“Potenzialmente siamo vicini alla fine dell’era degli antibiotici – ha dichiarato Vytenis Andriukaitis, commissario Ue alla Salute -. Lo scorso anno sono morte in Europa 25mila persone per infezioni resistenti”.
Attualmente, l’attenzione è focalizzata sugli enterobatteri carbapenemasi resistenti, famiglia batterica particolarmente aggressiva.
“Dobbiamo aumentare la consapevolezza in tutti gli Stati – ha affermato Zsuzsanna Jakab, direttrice dell’ufficio europeo dell’Oms -. Ancora oggi non si sa che per curare un’influenza non è necessario un antibiotico”.

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